LÒM A MERZ: LUME A MARZO
tradizioni romagnole
dal 01 Mar 2022 al 31 Mar 2022
“Lòm a merz” ( Lume a Marzo) è un’antica tradizione romagnola di origine contadina: una celebrazione della luce, posta dopo la Candelora, che conduce all’equinozio di primavera con l’inizio ufficiale della bella stagione. Sul finire di febbraio fino i primi tre giorni di marzo, le campagne si accendevano di tanti fuochi propiziatori ( i “lumi”). Questi avevano lo scopo di illuminare la via al mese di marzo nella speranza che questo fosse mite e produttivo: il rito benaugurale, infatti, aveva lo scopo di propiziare l’arrivo della primavera e allontanare il freddo e la malasorte cosicché i campi potessero produrre il nuovo raccolto. Venivano dunque accesi falò nei campi e sugli argini dei fiumi, utilizzando rami secchi e resti delle potature; i fuochi rimanevano accesi dal tramonto per tutta la notte e attorno ad essi i contadini si radunavano festosi. Si trattava di un rito simbolico e magico, infatti legata all’usanza dei fuochi vi era anche una curiosa formula che veniva pronunciata in questo periodo: “Sol ad merz, cosmi e cul e no elt” (“Sole di marzo cuocimi il sedere e non altro). Era usanza scoprire le natiche al sole e recitare il rituale, così facendo, secondo alcune interpretazioni ci si preservava dalle malattie, scacciando la malasorte. Altre versioni prevedono che tale rituale fosse praticato solo dalle ragazze ma altrove si trova una variante che include invece anche gli uomini “Marz Marzazz, cusum al cul e brisa al mustazz”, (“Marzo Marzaccio, bruciami il sedere ma non i mustacchi”). Più in generale si ritrova detto – in “Agenda storica 1999”, a cura di Maurizio Matteini Palmerini,Pietroneno Capitani Editore Rimini – che «I contadini e le contadine per preservare la pelle dai danni del sole e del vento avevano escogitato un originale rituale. Nel primo giorno di marzo si denudavano il sedere affinché dal morso della cottura estiva resti immune altrove che è, in passione, prerogativa gelosa della bellezza. Offrivano il deretano al sole mattutino esclamando al mondo: “Sol d’merz cusum e cul e no cusr etar”. Gli uomini salivano fin sul tetto della casa. Le donne invece mostravano la carne delle natiche, più pudicamente, da una finestra».
Si pensa che questo particolare rituale venisse fatto proprio agli inizi di marzo, probabilmente in corrispondenza con il capodanno dell’antico calendario romano, quello di Romolo. L’atto di scoprirsi le terga al sole era considerato una sorta di “sfida benevola” verso il sole affinché esso splendesse sui campi ma allo stesso tempo non scottasse troppo i volti. Questo gesto scaramantico, anticamente si ritrova anche come usanza dei marinai romagnoli davanti al mare in burrasca e ancora più anticamente come atto di sfida in battaglia praticato dai popoli Celti.