IL CALENDARIODELLE LEGGENDE e DETTI ROMAGNOLI.
dal 29 Gen 2024 al 31 Dic 2024
La leggenda narra di una merla dal piumaggio bianco che, uscendo dal nido troppo presto per annunciare la primavera, venne punita dal mese di gennaio che proprio negli ultimi suoi giorni sprigionò un freddo molto rigido. La merla per ripararsi si rifugiò all’interno di un camino fumoso e ne uscì con il piumaggio nero che portò con sé per sempre. Da qui il detto che in base alle condizioni climatiche degli ultimi tre giorni di gennaio / primi tre di febbraio si possa determinare l’arrivo della primavera: se queste giornate son gelide la bella stagione è in arrivo; viceversa se sono miti allora l’inverno sarà ancora lungo. I contadini infatti erano soliti dire: "I dè dla merla no fe zerla", ovvero “Nei giorni della merla non arare!”
FEBBRAIO: I giorni della canocchiara “I dè dla canucéra” (26-27-28)
Durante gli ultimi giorni di febbraio, detti “i dè dla canucéra", si pensava che vi fosse un’ora misteriosa e infausta durante la quale qualsiasi cosa si facesse non andava a buon fine o riusciva male a causa di un influsso misterioso attribuito alla “canucéra”. Quest’ultima sarebbe colei che porta la canocchia, ovvero la canna con la lana da filare, facendo quindi riferimento alla malefica parca Artropo che tesse le vite umane e improvvisamente può tagliarne le fila. Proprio in quei giorni dunque, i contadini sospendevano il lavoro dei campi o i pescatori non andavano per mare né le partorienti partorivano. Ancora oggi per definire un individuo balordo, gli anziani affermano che "l'é nasù e dè dla canucéra" (è nato il giorno della "canucéra")
MARZO: I giorni prestati “i dè prestè” (29-30-31 marzo / 1-2-3 aprile)
I “giorni prestati” sarebbero gli ultimi tre di marzo ed i primi tre di aprile che generalmente portano burrasca e mal tempo. Secondo la tradizione una pastorella, vedendo finalmente il sole dopo un lungo inverno, pensò fosse arrivata la bella stagione e potrò al pascolo il suo gregge. Il mese di Marzo si risentì e chiese in prestito ad Aprile i suoi primi giorni da poter gestire a suo piacimento; fece dunque piovere interrottamente sul piccolo gregge vendicandosi su di esso per il poco rispetto portato dalla pastorella.
APRILE: Gli "aprilanti" (1-2-3-4 aprile)
I primi giorni di aprile venivano chiamati “i quattro brillanti” (pare che il termine “brillante” derivi da una interpretazione errata di “a-brilent”, ovvero aprile/aprilanti). Essendo riconosciuto il mese di aprile come instabile e piovoso, il primo giorno di mal tempo era detto “aprilante”: se i primi 4 giorni pioveva, avrebbe piovuto per i restanti 40. Tuttavia se avesse piovuto in quei giorni, ciò indicava anche l’arrivo di una buona annata.
MAGGIO: Il Calendimaggio e la majé
Secondo un’antica tradizione romagnola, celebrata fino alla fine dell’800, durante la prima notte di Maggio ricorreva il “maggio lirico profano”. I giovani accorrevano sotto le finestre delle loro amate a cantare canzoni; le ragazze anch’esse cantavano alla finestra dove erano esposti rami fioriti che simboleggiavano l’aver piantato un maggio fiorente. Il ramo poteva essere anche portato anche dall’innamorato che vi appendeva doni come spille o fazzoletti. A partire dal 900 il “maggio lirico profano” venne sostituito dalla versione religiosa. Ancora oggi il rito del ramo sopravvive ed è conosciuto come “majè” per propiziare la difesa della casa dalle formiche e dei campi dagli insetti.
GIUGNO: San Giovanni, La notte delle Streghe (23 – 24 giugno)
La notte si San Giovanni è stata considerata da secoli come magica e prodigiosa: la notte dell’impossibile e delle streghe. È uno d quei rari casi in cui si festeggia il giorno di nascita e non della morte di un Santo e perciò si celebra la vita. Durante questa notte vengono praticati diversi rituali volti a propiziarsi le forze benefiche della natura, allontanare le negatività, migliorare la bellezza e attirare nuovi amori attraverso la raccolta di erbe e fiori magici come il prodigioso “mazzetto di San Giovanni” composto dall’Iperico che anticamente curava le ferite dei crociati e quindi creduto benefico (oltre alla lavanda, artemisia, ruta, mentuccia, rosmarino, prezzemolo e l’aglio); oppure facendo il bagno presso corsi d’acqua o con la rugiada anch’essi resi magici in quella notte. Per tale motivo in Romagna si credeva che durante la notte di San Giovanni si potessero incontrare per strada le streghe che si riunivano a raccogliere le erbe magiche; in realtà erano le persone in cerca del proprio mazzetto miracoloso da porre sotto al cuscino per accogliere buoni sogni premonitori.
LUGLIO
La civiltà agricola nel mese di luglio, dopo il raccolto nei campi, si dedicava del tempo per curarsi dei propri malanni causati dalla fatica del lavoro ed era visto dunque come un mese d’allegria. Il fieno tagliato veniva opportunamente raccolto prima che si seccasse, siccome luglio solitamente era poco piovoso. Per tale motivo si propiziavano le piogge estive come la corina “curàina” / garbino “garbàin”. Nell’ultima decade del mese si entrava nella costellazione del Leone ed iniziava dunque il periodo del “sol agliòn”: il solleone, molto caldo e portatore di pericolose punture d’insetto. Se il primo giorno dell’ultima decade, il sole tramontava “nel sacco” (“int e sach”) , ovvero tra le nuvole, allora tutti i giorni d’Agosto sarebbero stati nuvolosi.
AGOSTO: ll bagno miracoloso di San Lorenzo (10 agosto)
Nella Riviera Romagnola, il giorno di San Lorenzo ovvero il 10 agosto, era usanza immergersi nel mare per 7 volte: un bagno purificatorio e miracoloso, che si diceva infatti che “valesse per 7!”. Questo derivava da un’antica leggenda per cui un tempo la costa venne colpita da una tremenda pestilenza e alcuni superstiti portarono i propri cari ammalati in riva al mare, bagnandoli con l’acqua: le immersioni guarirono i loro mali e da allora vengono credute miracolose!
OTTOBRE La vendemmia
Ottobre è il mese “cuore della vendemmia”: la vinazione un tempo era vissuta come un rito ed occasione di festa nelle aie dei contadini. Quando soffiava libeccio e quando l’uva era bagnata, non si vinava ed inoltre vi erano superstizioni come quella per cui non veniva fatto il bucato quando l’uva bolliva nel tino perché i panni sarebbero venuti macchiati e allo stesso modo, ogni macchia di vino e di frutta, in quel particolare periodo, acquisiva grande tenacia ed era impossibile da detergere.
NOVEMBRE Capodanno celtico – il giorno dei morti (1- 2 novembre)
Secondo le antiche tradizioni celtiche romagnole, il 31 ottobre ricorreva il Capodanno celtico. Alla vigilia di ogni anno nuovo, si pensava che le porte tra il mondo dei vivi e dei morti si aprissero e perciò il 1 novembre i defunti sarebbero tornati presso le loro dimore. Per accoglierli nel migliore dei modi, la casa romagnola doveva essere accogliente: veniva acceso il camino e alla sera la tavola restava imbandita e le sedie predisposte attorno al fuoco; una candela illuminava la cucina e venivano consumati cibi tipici come le fave dei morti o la “piada dei morti”. Il 1 novembre, giorno Ognissanti, segnava la fine dell'estate e l'inizio della stagione fredda per cui si ringraziava la terra per gli ultimi frutti e alla mattina ci si recava in Chiesa per ingraziarsi la protezione dei defunti. Il giorno seguente, il 2 novembre, invece era usanza da parte dei mendicanti di andare a questuare nel nome dei defunti, ricevendo in carità fave e ceci bolliti, considerati il cibo dei morti.
DICEMBRE: e zoch d'Nadèl" (il ceppo di Natale)
In Romagna durante il periodo natalizio, ardeva nei camini il tipico ceppo di Natale ("e zoch d'Nadèl"): una pratica magica che aiutava il rinvigorirsi del sole e attraverso la quale, simbolicamente, si bruciava il passato. Il ceppo veniva benedetto ed acceso dal capofamiglia, all’interno di un camino in un luogo centrale della casa. Esso ardeva dalla Vigilia fino all’Epifania e le sue ceneri infine venivano impiegate in vari modi: sparse nei campi per favorirne la fertilità, sui tetti per proteggere le case dalle tempeste o mescolate nel mangime degli animali per scongiurarne future malattie.